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Il Profumo che piace all’aldilà e gli albori del profumo di nicchia

Chissà se davvero le divinità amano i profumi, certo è che noi lo crediamo. Possiamo dire che non esista cerimonia rivolta all’aldilà che non preveda il bruciare o l’aspergere un profumo. Così è che incensi, mirra e resine preziose accompagnano da sempre le nostre odi al cielo. Forse, tra fumi e pro-fumi, l’uomo si illude di poter confondere le acque, e rendere meno palesi le sue malefatte terrene quando viene chiamato al cospetto di Dio. Che quest’ultimo ci caschi è però cosa tutta da dimostrare.

Fatto è che l’usanza di diffondere profumi nei riti sacri è molto antica e risale a tremila anni prima di Cristo. Lo facevano gli Egizi, una civiltà cresciuta sulle rive del Nilo e durata qualcosa come quattromila anni. Sin dai primordi della loro storia gli Egizi offrivano agli dei sacrifici profumati, ma usavano anche profumare i cadaveri nei riti funebri, ungendoli di resine al momento dell’imbalsamazione delle mummie. Arrivarono anche a svuotare i corpi, a riempirli di aromi e a bruciarli per offrirli agli dei.

Non sappiamo il perché lo facessero, se per devozione, oppure per coprire i cattivi odori dei cadaveri in decomposizione o, ancora – come più probabile – per entrambi i motivi.
Quello che sembra certo è che prima dei vivi si iniziò con il profumare i morti.

A profumare sé stessa da viva, per motivi di vanità, pare sia stata per prima la regina Hatshepsut (1473-1458 a.c.). Innamorata dei profumi la sovrana organizzò una spedizione di navi dirette nella terra del Punt (probabilmente un territorio che oggi comprenderebbe Eritrea, Somalia e Sudan), alla ricerca di essenze profumate. Tornarono cariche di aromi e piante odorose che la sovrana fece trapiantare in Egitto per averle sempre a disposizione. Di questo viaggio c’è traccia in un bassorilievo in un tempio a Tebe, la città egizia situata proprio lungo il Nilo.

Non fu da meno il popolo di Israele, che già 1400 anni prima di Cristo narrava come Dio ordinò a Mosè di procurarsi Incenso, Mirra, Cannella, Cassia, Giunco odoroso e olio d’oliva, per comporre un unguento profumato per la cerimonia. Questo profumo – ammonì il Padre Eterno – sarebbe dovuto servire solo per il rito sacro e mai l’uomo avrebbe dovuto servirsene per profumare se stesso. Insomma, all’epoca, l’arte della profumazione era riservata davvero a pochi. Eravamo agli albori del Profumo di Nicchia.

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